Grande foglio – 2010

Cemento Armato, Resina

6×4 mt

Accademia dello Scompiglio, Vorno (Lucca)

 

 

Lungo il tuo percorso, spesso ti hanno caratterizzato come “indagatore della forma”, quale processo ti ha portato a ideare “Untitled” per lo Scompiglio?

 Questa definizione di “indagatore della forma” si é consolidata sempre di più da quel lavoro ad oggi. Untitled concludeva una ricerca plastica iniziata nel 2006 dove il tema del foglio incarnava il mio pensiero sul dubbio, celebrava ripetutamente il tentativo di trovare una immagine giusta così come a volte si cercano le parole giuste per dire qualcosa. Il foglio bianco accartocciato é diverso dal foglio bianco nuovo, su cui si può ricominciare, è già maneggiato ha già una vita propria. Lo ritrovi a volte in fondo ad una borsa e ti ricorda qualcosa che avevi pensato. Il grande foglio dello Scompiglio è la massima espressione di tutto questo: al valore della forma si aggiunge in questo caso la dimensione ed il rapporto con il luogo.

Il grande foglio si adagia su un terreno assecondandolo, ascoltandone le curve di livello, forse comunica realmente solo con la terra. La scrittura autentica sta sotto il foglio. Quello che avviene sopra non é mai definitivo, sono parole scritte per essere cancellate. Il passaggio di qualcuno, una foglia che ci cade sopra, sono segni effimeri opposti a quelli che stanno sotto e che ora considero quasi radici del foglio. Così ho interpretato il tema del Cimitero della Memoria, come qualcosa che é apparentemente sepolto. Una sorta di lapide che richiama alla necessità di rileggere o riscrivere quella Memoria.

E’ questo per me il lavoro sulla forma. Non é un lavoro scientifico, pianificato, matematico ma é artigianale, fisico, manuale. Cerco la forma prendendo alla sprovvista i materiali, sfidandoli con la forza, piegandoli ad un disegno di nuove identità per cui, come in questo caso, il cemento diventa carta. Come un maniscalco che piega il ferro per far muovere nel migliore dei modi la potenza del cavallo. E’ quella forma che cerco, non ho nessuna remora nel credere nella mia espressione manuale: per me le azioni fisiche sono parole necessarie.

Il lavoro si configura come un foglio bianco accartocciato per terra. Un risultato formale ricorrente nella tua produzione che tuttavia si presenta allo Scompiglio in una modalità originale per dimensioni e contesto; si tratta di una tua ossessione?

 Assolutamente si se per ossessione intendiamo la ricerca continua anche malata di una forma “giusta” ma che per me dev’essere accessibile. L’ossessione di dare una indicazione a chi guarda l’opera e la deve toccare per capire quanto può essergli utile. Aumentare al dimensione del foglio significa aumentarne la potenza, far si che la forma possa addirittura accogliere. Un foglio usato é come la trama abbozzata di una storia di cui lo spettatore può entrare a far parte.

In quest’occasione hai concepito una pagina in cui le normali categorie di effimero e leggerezza diventano permanenza e solidità, a cosa è dovuto questo mutamento?

Non c’è altra solidità che quella del rapporto fra l’opera e il luogo, al contrario ho voluto enfatizzare la leggerezza di un segno che é effimero se non riporta qualcosa di scritto sopra. La spinta creativa arrivava dalla celebrazione del documento della memoria, un pezzo di carta come una foto vecchia che riporta più che l’immagine la patina del tempo. Amo la ruggine come se fosse un materiale da usare.

Che ruolo gioca la tabula rasa, simbolo della mancanza di memoria a priori e quindi della totale potenzialità di acquisizione di qualsiasi conoscenza, in questo lavoro?

 Non ho mai pensato che il vuoto potesse rappresentare la possibilità di creare, nel nulla per me non c’è niente per definizione. Non mi sono mai ritrovato in un atteggiamento artistico contemporaneo che vede in chi sa fare qualcuno che non sa pensare. In questo senso mi sento più che mai Scultore come chi cerca con le mani un disegno che sta in testa. E’ chiaro come per me l’esperienza diventi un elemento fondamentale per l’espressione. Ecco perchè qui avviene esattamente il contrario: piegare il foglio significa credere nella lettura di qualcosa che già esisteva. Come leggere una mappa per inventare un’altra strada. La conoscenza per me passa dall’esperienza del saper fare più che da quella ostinata reinvenzione che porta spesso a percorsi inutili.

Saranno i passi scanditi sulla sua superficie a configurare una sorta di memoria collettiva oppure rimane un diario privato con parole mai scritte?

I passi non possono essere come le parole, ma vedere un uomo sul foglio per me significa fare un monumento ad un concetto. Enfatizzare la dimensione di un problema aumentando la scala, il rapporto del manufatto con le proporzioni umane. Quando ho realizzato l’opera uno dei vincoli della progettazione é stato di non creare spazi che potessero trattenere l’acqua: mi piace pensare a quell’acqua come ad una memoria purificatrice che passa, come sacra, per ridare il giusto valore a parole scritte per sbaglio.